TORINO – Di giorno, si, di giorno, con la luce netta e pulita di una mattinata invernale. Nella tranquillità di un centro storico, la cui aggettivazione “storico” raramente risulta aderente al concetto come in questa città così legata ai valori della tradizione e dell’esoterismo, dove tutto è possibile.
Con il sole freddo dell’inizio dell’inverno, quando ormai la neve si scorge lassù, sui rilievi delle Alpi che circondano le pianure torinesi. Tanto spazio là fuori, cinto dalle più alte verticali alpine. Tanto spazio -a ben guardare- c’è anche qui in centro, dove nulla è sacrificato, dove il significato di “città a misura d’uomo” non è un concetto astratto.
La Storia d’Italia ( e non solo ) con la S maiuscola si è spesso scritta in caratteri indelebili proprio qui, o comunque partendo da qui, proprio qui davanti al palazzo che accoglie uno dei migliori Ristoranti italiani, di fronte a quello che fu il primo Parlamento italiano.
Grandi piazze, San Carlo e Piazza Castello, e poi questa, Piazza Carignano dove tutto parla ancora in lingua Sabauda. Edifici perfettamente restaurati e ben conservati, al limite riconvertiti a scopi diversi, diventando così contemporanei, o semplicemente rinnovati nel look interno, come è stato per il vicino Museo Egizio e, come lo è da tre anni anche il palazzo a fianco al Teatro Carignano, quello che contiene i diversi ambienti che tutti insieme sono diventati il Ristorante Del Cambio.
Decorazioni e interni in parte “solamente “restaurati, come è il caso della sala principale – quella frequentata da Camillo Benso di Cavour – mentre altri sono stati decorati e abbelliti in maniera contemporanea e nobilitati da opere d’arte nate dalle mani di artisti di questo spicchio di secolo, ed in parte del precedente.
Un ingresso sobrio anticipa il discreto bistrot, dove si mangia su tavoli in marmo; sulla sinistra si apre la sala maestosa, degna dei grandi caffè e ristoranti parigini. Un tuffo nel ‘700, prima di inoltrarsi nella sala dedicata all’artista biellese Michelangelo Pistoletto, apparecchiata in maniera assai diversa, più legata a concetti di ospitalità del nuovo millennio.
Di sotto, per una ripida scaletta, ad esplorare una cantina che in realtà è oggi un vero giacimento di perle enologiche, tutte disponibili e descritte al meglio sulla massiccia carta dei vini. Di sopra, salendo una signorile scala, alla scoperta di ambienti nascosti, che si riveleranno uno dopo l’altro, in un cambio di spazio che è anche cambio di colori.
Si lascia il rosso del piano terra e della scala per addentrarsi in toni di blu, di verde, di bianco, di oro. Si, l’oro, il colore del lusso, quel bene prezioso che non va ostentato ma vissuto come se fosse una continuità con il passato glorioso.

Verso le 12 si completa l’apparecchiatura personalizzata della tavola, dopo di che il personale di sala si incontrerà al completo nella sala principale per il briefing di rito, principio di ogni ottimo servizio ai tavoli

Molto più di un bar o un american bar che dir si voglia. Grandi cocktail, Champagne e cucina su misura per un momento decontracté.

Guidati nella visita dalla direttrice, con quel vago e affascinante accento un po’ francese e un po’ esotico che distrae e attrae
La modernità invece è ben visibile nella cucina di oggi, guidata dall’enfant du pays Matteo Baronetto, protagonista per tre lustri del successo conseguito da Carlo Cracco nel suo ristorante milanese. Di quella lunga esperienza resta nelle mani del grande chef torinese l’apprendimento delle tecniche più moderne in cucina, qui applicate con saggezza, semplicemente alleggerendo le composizioni, ma senza compromettere il sapore originale dei piatti, tradizionali o innovativi che siano.
E infine a tavola, dove i piccoli tavoli saranno presto riempiti di deliziosi intrattenimenti gastronomici di alto profilo. Ma questo, dopo aver visitato l’intero palazzo, appare come una logica conseguenza.
L’energia positiva impregna questa magica sala, dove il tempo scorre scandito da un antico orologio a muro, che sembra rallentare invece che correre, perché siamo e Torino e non a Milano; qui le cose accadono comunque, ma senza fretta, trasmettendo benessere e non ansia. Di giorno, con la luce naturale. Stasera basterà un brodino per chiudere comunque alla grande un’esperienza straordinaria.

Con l’aperitivo al tavolo, tra sapori piemontesi netti come la nocciola e l’acciuga. Pleonastico solo il “gommoso” in rosso, tinta di riferimento della sala …

Gli ottimi pani: “de Campagne” e al cacao e semi di finocchio. Anche i grissini saranno, come d’abitudine a Torino, perfetti.

Viene dall’alto piemonte questo nobile Nebbiolo, dal Biellese, terra di Quintino Sella. Emozioni, storia e contemporaneità continuano ad incrociarsi.

Carta di zucca, salsiccia di Bra. Grande tecnica applicata al gusto, alla leggerezza, alla tradizione non tradita ma rimarcata in un soffio di carta che si sbriciola tra le dita.

L’insalata Piemontese secondo Matteo Baronetto, che cambia di stagione in stagione, mescolando con senso innaturale del gusto fino ad una trentina di elementi, senza andare fuori tempo.

Essenziale vitello tonnato, tagliato un po’ più spesso del consueto, per valorizzare al meglio la materia prima. Sedano a rinfrescare la concentrazione sapida e grassa della salsa.

Acciughe al verde. Definizione semplificata per una grande esecuzione, assai raffinata tenuto conto degli elementi presenti nel piatto, aglio incluso.

La “Finanziera” un piatto simbolo della tradizione piemontese eseguito al top. Il quinto quarto nobilitato

Selvaggina: nocette di capriolo, insalate cotte all’olio e gelso affumicato. Grande piatto anche questo.

Gianduiotto rivisto e corretto … con Mole Antonelliana a ricordare dove stiamo. C’è anche crema, sorbetto cassis, croccante al caffè. Dessert complesso ma che rimane fine e goloso.
E in chiusura un giro in Farmacia, nel senso del recupero degli ambienti, che oggi sono la pasticceria Del Cambio, e non solo, ma anche uno spazio “gastronomia”, o che viene buono per una rapida sosta al momento dell’aperitivo.
foto gdf per Mauro Olivieri blog
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