Decidendo di calarsi in questa professione, la prima cosa da non sbagliare è la così detta “location”. Che non significa solamente trovare dei locali adeguati ad esercitare la difficile professione di ristoratore, ma anche individuarne la collocazione all’interno della località prescelta.
Chiaro, scegliendo un piccolo locale lungomare con spazio accessorio all’aperto si parte già meglio, ma non è detto che questo dettaglio si dimostri favorevole. Perché allora alcuni lavorano ed altri no? Non basta neppure saper fare una buona cucina a prezzi onesti, perché su un lungo mare ci passano tutti: dai più raffinati gourmet ai più disinteressati al tema, meramente diretti sull’aspetto materico e primario dell’atto del “mangiare”. In più, la concorrenza, vista mare, è la più spietata.
La linea di cucina deve essere sì personale per distinguersi dalla massa, ma deve nel contempo offrire i “must” del periodo, i piatti di moda o gli “evergreen”. Insomma, se non sei Carlo Cracco un po’ puoi fare di testa tua, ma in parte devi assecondare i desideri abbastanza basici dei clienti “normali”, quelli che mangiano “il crudo”, il fritto, lo spaghetto con le vongole, la grigliata o il piatto vegetariano.
Per fare la differenza bisogna anche curare i dettagli, facendo emergere in maniera sobria e raffinata il proprio locale, improntando un marchio, creando un “feeling”, personalizzando il più possibile il luogo, a partire dall’insegna, e poi cogliendo da quanto già presente nei locali lo spunto per creare qualche cosa di originale, valorizzandolo e rendendolo personale. Insomma, un serio approccio olistico è quanto mai raccomandabile.
Un muro di pietra, un pavimento unico, una volta arcuata, un ingresso particolare, l’incidenza della luce naturale … ecc … Ecco, una regola primaria è, per esempio, guardarsi bene dall’applicare tendaggi pesanti se si dispone di finestre che danno sul passaggio, sia per far entrare luce naturale, che per far si che il passante possa -con discrezione- valutare se il locale è frequentato. Il primo tavolo da far occupare al cliente sarà proprio quello, quello vicino alla finestra.
Cogliere un motivo di design sul pavimento e riproporlo armonicamente sul pratico menù e sui biglietti da visita, creando una “liason” tra il luogo e la proposta gastronomica, come ha fatto la brava disegnatrice (di gioielli) Dalia Greppi, figlia della comproprietaria del Come a Casa, Licia Casella (anche pasticcera), che insieme al socio Piero Bregliano, stanno cogliendo il meritato frutto di un lavoro fatto con passione, curando il dettaglio prima ancora della forma.
Lo si nota nell’illuminazione, lo si nota dal vasellame scelto di volta in volta per “impiattare”, dai fiori freschi, dall’apparecchiatura della tavola e dalla maniera di presentare i piatti, dove anche l’esperienza del sia pur giovanissimo Matteo Barbero -proveniente dal ristorante stellato piemontese La Credenza- incide in maniera importante. Il piatto deve arrivare caldo, bello, e buono. Come a Casa, o forse anche meglio.
foto gdf
26 febbraio 2016 at 14:46
Grandi sempre innovativi,
Ottimi piatti innovativi e leggeri