GENOVA VOLTRI – Entri in quella che è considerata dai critici la miglior tavola di Genova e dove il cuciniere Davide Cannavino passa per essere uno dei più bravi interpreti e valorizzatore della cucina basata sul pesce povero e invece ti trovi spiazzato e lanciato in un viaggio al centro della terra.
Il contesto esterno, la facciata, così come gli interni andrebbero (IMHO) resi più vicini all’intenzione che l’insegna comunica, ma questi sono aspetti facilmente adeguabili al nome del locale (La Voglia Matta), mentre sono i contenuti quelli che sorprendono e spiazzano piacevolmente, risvegliando ricordi ancestrali sopiti dalla banalizzazione dei menù fotocopia e delle proposte di cucina regionale, replicate ovunque quasi sempre senza convinzione.
Qui la terra e il mare si parlano nella stessa lingua, una sorta di dialetto duro e confidenziale, un dialogo acceso ma costruttivo, ripartendo dalle origini, dall’uovo e dalla terra, dalle origini della vita. Davide riesce a farci mangiare la terra, l’elemento che tiene insieme tutto, proprio qui, lui che tra i primi ha sperimentato le mie (le nostre, con Roi e Bessone …) Terre dall’Italia.

Con Katia, la donna di sala (comproprietaria) a La Voglia Matta. Carattere, praticità e maniere buone quanto efficaci
I contenuti sono molti e, pure ben lavorati. I contenitori a volte sono utilizzati con cognizione, altri andrebbero rivisti, ma unicamente per dare ancor maggior valore al lavoro, all’idea, al progetto di cucina “sveglia” de La Voglia Matta, quella Voglia che ti deve far venire qui, in un vicolo dell’ultima delle frazioni di Genova, ma la prima arrivando dalla Riviera di Ponente, e non solo per quello.
Tuberi, radici, erbe, alcol, pesce povero, verdure e frutti di stagione come le castagna ti agganciano il palato come l’amo del pescatore. Ti tengono appeso. No, questa cucina non ha nulla di banale, anzi, ha molto da insegnare ripartendo dalle origini, dall’inizio, sviluppando un progetto sulla base del prodotto ancor prima che sulla brillante capacità di trasformarlo e renderlo degno di un tavolo gourmet, ma senza facili compromessi.
Oliena è arrivata fin qui. Ne ho consegnata una a Mauro Colagreco del Mirazur di Menton, che l’ha giustamente utilizzata come elemento enfatizzante del servizio e della degustazione dei suoi oli aromatizzati. Ne ho consegnata una all’amico Manuel Marchetta di Sanremo perché sviluppi anche lui un qualche cosa che non c’era sul tema dell’esaltazione dell’olio, ligure o di altre provenienze. Qui invece Davide ha istintivamente individuato l’oggetto come salsiera, ma Oliena è anche altro, è altro, dal momento in cui l’abbiamo messa in discussione all’opera prima, alle Macine del Confluente di Badalucco.

Oliena Attira. C’è qui con noi uno dei migliori fotografi di food at restaurant, Francesco Zoppi, che sta realizzando un servizio fotografico su questi temi.
Oliena è più vicina al concetto dell’olio e della sua valorizzazione sensoriale, e siccome questa è comunque una cucina basata sull’olio (usato con parsimonia e non buttato a pioggia sui piatti per compiacere i palati più ruvidi), sicuramente qualche cosa di più vicino al senso dell’oggetto lo vedremo, su questi tavoli, tra i più stimolanti per i cinque sensi.

Calamaretti tiepidi, purè di patate di montagna al fumo, oliva Taggiasca (snocciolata), cipolla all’agro e crema di castagna. Senza un filo d’olio, che sarebbe stato superfluo. Piatto pulito.

Essenzialità. Da sotto terra al livello del mare, da sotto il mare al livello del mare. Una radice amara delle vallate qui dietro Voltri ed Arenzano diventa una cosa sublime se cotta dolcemente dentro una delicata bagna cauda. E’ sempre la via del sale che ha mille incroci sui quali interrogarsi e rispondersi.

Nella Compressione di Terra, uno dei piatti simbolo di questo giovane uomo di cucina, ci sono patate in crema, topinambour, castagne, nocciole tostate … tartufo. Nobiltà di terra. Profondità di gusto e di pensieri filosofici, ma anche gran gusto, pieno, caldo e originale, primario perfino.

Intermezzo : due acciughe fritte farcite di pesto. Di nuovo la terra e il mare. Contrasto che non ci stanca mai.

Ancora terra. Lumache, risotto al brodo di lumache, fondo bruno e freschezza di prescinseua e di prezzemolo.

Piccione e foie gras. Grande materia prima; cottura esasperata ma il risultato è ottimo. Un fulmine.

Semplicemente pere, cioccolato ed amaretto. Semplicemente per Davide, ma il risultato va oltre i termini, per consistenze alternate ben studiate, concentrazione di sapore e senso della misura, anche se il tema delle piccole isole del gusto, ripetitive, potrebbe essere modificato dove opportuno centrando su un unico volume l’intero piatto.

Semplice meringa, perché i bianchi d’uovo non si buttano in cucina. Stimolante crema inglese allo zenzero e furibonda gelatina di Sambuca …
foto gdf per Mauro Olivieri blog
29 ottobre 2016 at 23:05
Piatti che rapiscono lo sguardo, catturano l interesse risvegliando memorie recondite, ricordi e profumi di luoghi e situazioni . CIBO come enciclopedia di vita….dovere ancora più imperante preservare la purezza e l integrità de prodotti che la natura ci offre generosa. COMPLIMENTI ancora a quanti valorizzano e divulgano l arte del food.